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Apple carica sui prezzi la tassa per il copyright Balzo dell’iPhone-index

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I telefonini misura del potere d’acquisto, La Siae «sconcertata per l’iniziativa provocatoria» di Cupertino.

«Include tassa su copyright di euro 4.00». Sul negozio online di Apple campeggia da ieri un avviso stringato che ha suscitato gli strali del ministro Dario Franceschini. «Allibito, indignato», si è detto il titolare del dicastero alla Cultura dopo la decisione di Cupertino di ritoccare al rialzo i listini dei suoi prodotti nel nostro Paese (trasferendo quindi il conto al consumatore finale) come conseguenza dell’adeguamento tariffario della cosiddetta «copia privata», cioè gli importi applicati alle memorie di massa (come gli smartphone, i tablet e i computer) a spese dei produttori hi-tech. La ratio del decreto governativo appena entrato in vigore è quella di re-distribuire i (maggiori) proventi agli autori e ai distributori di contenuti audio e video attraverso l’intermediazione della Siae, che si è detta «sconcertata» per «l’iniziativa provocatoria di Apple». Misura che potrebbe essere emulata dalla rivale Samsung perché il rincaro equivarrebbe a una perdita nel margine di profitto di alcuni milioni di euro al mese anche per l’azienda coreana.

La vicenda – al netto delle parti in causa – suggerisce la definitiva consacrazione dell’iPhone a termometro (informale) di comparazione del potere d’acquisto delle valute. L’icona del commercio globalizzato potrebbe soppiantare l’indice Big Mac inventato dal settimanale Economist che – teorizzando la parità dei poteri di acquisto il cui corollario è un naturale aggiustamento dei tassi di cambio – ipotizzava che il panino venduto nella catena di ristorazione americana fosse in grado di stabilire con buona approssimazione l’eventuale svalutazione di una moneta. Rileva l’economista (e docente alla Liuc di Castellanza) Gianluigi Costanzo come l’iPhone sia persino meglio del Big Mac perché l’ultimo ritrovato di Cupertino è lo stesso ovunque e ha costi di produzione, trasporto e vendita sostanzialmente analoghi in tutto il mondo. Quindi è capace di attenuare la variabile «costo del lavoro», ma non il peso, né la capillarità della distribuzione tuttavia quantificabile in 1-2% per cento di differenziale di prezzo. La cifra complessiva (evidenziata dai numeri in alto ottenuti comparando i listini di Apple nei diversi Paesi depurati dall’Iva) è che i consumatori italiani paghino qualsiasi modello iPhone di più di tedeschi, francesi e spagnoli con i quali condividono la stessa moneta, mentre risparmiano rispetto agli elvetici che però fanno shopping in franchi. Apple interrogata sulla sua politica commerciale in Italia attribuisce questo presunto rincaro ai costi del «fare business» nel nostro Paese. Una risposta che a ben vedere suffraga la fondatezza dell’indice Apple. Perché rileva l’urgenza di riforme strutturali per una maggiore competitività del sistema-Italia anche per non pagare più degli altri non solo il Big Mac, ma anche il MacBook.

di FABIO SAVELLI

FONTE: http://www.corriere.it/economia/14_luglio_24/apple-carica-prezzi-tassa-copyright-balzo-dell-iphone-index-5d8699a6-130b-11e4-a7ff-409dc1c2ba25.shtml#


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